I miei alunni

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SEMPLICEMENTE ELIZABETH

03/03/2009


Iniziò tutto nel 1914,quando la prima guerra mondiale era iniziata e avevano cominciato ad arruolarsi. Tutte le famiglie erano disperate al sol pensiero di non vedere più i propri cari. Io,ero molto giovane a quel tempo, un giovane soldato tedesco, persi i miei genitori quando ero ancora in fasce e, superati 18 anni decisi di arruolarmi nell’esercito per dare una svolta alla mia vita.
Era novembre, Il giorno della mia partenza, incontrai una giovane ragazza, era bellissima. I suoi lunghi capelli biondi, venivano accarezzati dal vento, sfiorando le sue rosee guance che davano un tocco di colore alla sua carnagione bianca.
I suoi occhi azzurri illuminati dalla fievole luce del sole appena sorto, ipnotizzavano chiunque la guardasse. Il mio sguardo era fisso su di lei, non si poteva interpretare, ma si riusciva a capire chiaramente che era amore. Si voltò verso di me e i nostri sguardi, cosi intensi, cosi pieni di tristezza … All’improvviso il rumore del treno, ecco dopo quel suono, non la riuscii più a vedere. Una massa di uomini si dirigevano fieri per andare in guerra, inconsapevoli di non tornare più vivi, nel posto dove erano nati e cresciuti; e come ultime parole prima di lasciare questo mondo avrebbero avuto il rimorso di esser partiti e di aver dato dispiacere alle persone care per non averli ascoltati e avrebbero detto: “perdono!”. Io questo l’ho vissuto. Dovevamo partire per il fronte orientale, la Russia era diventato un luogo dove il sangue era vincere e servivano uomini in soccorso, avevo quasi ripensato di tornare e lasciar perdere ma ormai era partito il treno e non potei far nulla per evitarlo. Ero disperato al sol pensiero di non rivedere più quella giovane fanciulla, mi erano rimaste impressa la dolcezza dei suoi occhi e il dolore che provava.
Era buio e avevo capito solo dopo un po’ di essere nel cuccetta del treno, sudato, con il respiro affannoso e realizzai che mancavano solo pochi istanti prima che ricominciasse quell’angosciante suono… eravamo arrivati. Cercai di coprirmi il più possibile, era quasi inverno e la temperatura ad ogni passo che facevo, diventava sempre più rigida. Usciti, ci infilarono tra le mani un fucile e una scatola piena di proiettili. Il fucile era già carico, la paura mi invadeva il cuore, ma ormai ero entrato in azione.
Passarono giorni, mesi, ormai avevo perso il conto, e quella guerra di movimento era diventata una guerra di posizione, quella guerra breve era diventata interminabile, ma ero ancora vivo con il solo pensiero di rivederla. Sembrava ieri quando ci guardavamo in modo dolce e tenero, ma quella piccola mia distrazione, quel piccolo momento di beatitudine, mi costò caro, molto caro; un gruppo di invasori Russi era penetrato nelle nostre difese e riuscirono a colpirmi in petto sfiorando il cuore e trapassando il mio corpo, che iniziò a perdere le forze; e vedevo rosso, solo rosso … Quando aprii gli occhi ero in un’infermeria, fasciato per tutto il tronco, faticavo a respirare, ad un tratto un’immagine molto familiare mi si avvicinò piano e mi accarezzò la fronte, era una visione come un angelo nell’inferno; era lei, l’avrei riconosciuta ovunque. Rividi il suo sguardo, a tratti preoccupato e in altri felice, mi sorrideva, bellissima! Era notte, mi svegliai col fiato corto, ero ancora in infermeria, cercavo lei ma non riuscivo a trovarla, attorno a me uomini feriti che cercavano aiuto, stavano male,s offrivano atrocemente, ma i posti erano limitati e non potevano far altrimenti che metterli in coda; cosi decisi, ero abbastanza in forze per poter tornare in guerra, così mi alzai dal letto e mi rivestii, fino a che una mano delicata mi toccò la spalla; voltandomi la vidi e mi disse: “ dove crede di andare lei?”. “In guerra” dissi io. “Non dica sciocchezze non è abbastanza in forma per tornare in quella carneficina” “tra tutti gli altri lo sono, non vede!?”. Tutta questa gente sofferente senza un posto dove curarsi e rimettersi in forze, beh io lascio il mio posto per darlo a una persona che ne ha bisogno” “ ma …” “su vada aiuti questa gente” la conversazione finì in un silenzio stranamente imbarazzato, che si interruppe con lei che annuì, mi diede un piccolo bacio sulla fronte e mi lasciò andare. Passarono molti giorni senza vederla, era cominciata la primavera e lì il freddo color del sangue trionfava sui bellissimi fiori che sbocciavano. Passarono gli anni, non entrai più in quell’infermeria, come se quel bacio avesse fatto da protezione a me, era il 14 maggio 1918 e io ero diventato più forte, perché 4 anni in guerra ti fanno capire quanto sia fragile la vita e quanto sia stupida la guerra e di quanto il mio popolo abbia sbagliato a mettersi dalla parte dell’Austria e di aver bombardato i sommergibili Americani, eravamo senza munizioni, senza niente per combattere. Dicevano che la guerra un mese dopo sarebbe finita, bastava resistere solo un mese, uno …
Quelle voci avevano ragione, passò un mese e l’accordo di pace era già in viaggio per far terminare la guerra, io volevo solo andarmene dalla mia città con lei di cui non sapevo neanche il nome. I Giornali parlarono di questa cruenta guerra finita, anche se a sfavore nostro, ma non importava a nessuno. Tornai a casa, la mia casa, dove ero cresciuto con mia zia Doris e mio zio Edgard che non trovai più, erano morti e io non ebbi neanche il tempo di un bacio, un abbraccio. Il campanello suonò, quella mattina del 30 settembre 1918, e molto svogliatamente aprii la porta, e la vidi, davanti a me, con un completino scozzese e un basco rosso in testa; vidi una lacrima sul suo viso e subito dopo, mi abbracciò singhiozzando:” temevo non riuscissi a sopravvivere, avevo paura, volevo che rimanessi con me in infermeria e invece sei andato via. Sono stata egoista ma lo volevo fare perché io ti amo”. In pochi istanti le sue morbide labbra si incollarono alle mie e continuò… “ scappiamo, andiamocene via, io voglio avere una vita felice con te via da qui”. Accennai per un secondo poi, preparai i bagagli e mi vestii molto velocemente. “Rimani qui vado a fare i biglietti”. “No vengo con te”. Rassegnato acconsentii e andammo a fare due biglietti per l’Italia, sola andata e cosi 3 giorni dopo partimmo in treno per una nuova vita. Mentre si era in viaggio, abbracciati come sempre, le dissi: “ aspetta un momento non so nemmeno come ti chiami!” “ Elizabeth”.
E così cominciai una nuova vita con Elizabeth, la mia Elizabeth.



 


 

Camilla Troisi - V. Stancampiano - S. Zambrano - D. Rovere - M. D’ambrosio - A. Pupo_3^_B_S.M.S._"Verdi"_Corsico_(MI)

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